Sono nato del Boca e morirò del Boca
“Al Boca Juniors devi dare sempre il massimo e io non sono più mentalmente in condizione di farlo. La verità è che non ho avuto nemmeno il tempo di commemorare la perdita di mio papà che ero già in campo con la maglia del Boca. Voglio ringraziare tutti, tutti quelli che lavorano per il club. Sono nato del Boca e morirò del Boca. Il mio sangue non è rosso, sarà sempre azul y amarillo.”
Il momento è arrivato
“Pensavo che non sarebbe mai arrivato questo momento. Sono qui per dire che lascio il club, non è un addio perché ci sarò sempre per la gente del Boca Juniors. Non ci sarò più come calciatore, ma sarò sempre del popolo degli Xeneizes. Mi hanno chiesto di rimanere fino a dicembre, fin quando non sarebbe tornata la gente allo stadio, e mi hanno reso le cose più difficili. Voglio che l’ultimo mio ricordo alla Bombonera con i tifosi, risalga all’abbraccio con i tifosi, mentre festeggiavamo perchè eravamo campioni, il giorno che abbiamo vinto davanti a Maradona, nella sua ultima apparizione davanti alla gente.”
Le lacrime del papà
“Quella è stata l’ultima volta che ho visto mio papà piangere di gioia. Come giocatore ho dato tutto e per questo sono felice. Il Boca è il miglior club del mondo, mio padre tifava Boca Juniors come mia mamma, mia moglie e mio figlio. “
Un colpo dritto al cuore
La conferenza stampa, l’ultima da calciatore, di Carlitos Tévez è straziante, un colpo dritto al cuore che per qualche istante cessa di battere per poi battere più veloce, a ritmo forsennato. L’Apache di Ciuciadela è stanco, provato, ma le lacrime di dolore si mischiano a quelle di gioia. Sì, perché il calcio è gioia, immensa quella che lo ha portato a lasciare l’Argentina per inseguire il sogno europeo che lo ha innalzato ad alta quota, collocandolo di diritto nell’Olimpo degli Dei dei calcio.
Un inno alla vita
Ripercorrendo a ritroso la storia di Tévez il viaggio è straordinario, a tratti drammatico, ma il contenitore che racchiude la vita incredibile dell’attaccante argentino è un inno ala vita, nuda e cruda, ma pura.
La difficile infanzia di Carlitos
Per raccontare questa storia bisogna partire da Ciudaela, città ai margini della periferia di Buenos Aires, tra baracche, proiettili vaganti e povertà. L’Argentina di metà anni ottanta viveva con il mito del pallone e tra le strade impolverate si sognava la Bombonera e il Boca Juniors. Il 5 Febbraio del 1984 da quelle parti nacque Carlos Alberto Martínez Tévez, per gli amici l’Apache. Quando la madre di Carlos era in dolce attesa (settimo mese di gravidanza) il padre biologico Carlos viene ucciso a colpi di arma da fuoco. Il piccolo Carlos, chiamato così in onore del padre, venne abbandonato dalla madre a soli tre mesi di vita. Il piccolo non trova pace e a pochi mesi dal primo compleanno, è vittima di un tremendo incidente domestico, accidentalmente gli cade addosso l’acqua bollente di un bollitore e il bimbo viene trasportato tempestivamente al pronto soccorso. La coperta di nylon che avvolge Carlos rende la situazione ancor più critica, e il bimbo lotta tra la vita e la morte. Dopo circa due mesi di preghiere e terapia intensiva, Carlos è fuori pericolo, ma dovrà convivere con quelle cicatrici per il resto della sua vita. Gli zii materni Segundo Tévez e Adriana Martinez, accudiscono e proteggono Carlos, cercando di tenerlo lontano dalla strada e dai pericoli di Ejercito de los Andes, quartiere dove vige la legge del più forte.
Santa Clara
Carlos Tévez è un ragazzo come tanti, con una smisurata passione per il calcio che un giorno sogna di giocare tra i più grandi. L’alto tasso di criminalità del Barrio di Fuerte Apache e la vita difficile non aiutano, ma Carlos differenza dei suoi amici può contare su due “genitori” che vigilano su di lui in maniera attenta e costante. Tra le favelas di Buenos Aires sembra impossibile trovare un posto felice nel mondo ma Tévez inizia ad accarezzare quel sogno di diventare un giocatore professionista. La prima esperienza di un certo rilievo si chiama Santa Clara, in cui la classe e le qualità di Carlos non passano inosservate. Il piccolo grande ragazzo cresce e all’età di 14 anni inizia ad assaporare una parte di quel sogno, che un domani lo catapulterà nell’Olimpo dei grandi dei calcio. Le giovanili del Boca Juniors sono un passo importante ma il giorno che Carlos Tévez non dimenticherà mai ha una data ben precisa.
La Bombonera
Il 21 Ottobre del 2001 arriva l’esordio che fa battere il cuore, in cui l’Apache fa il suo esordio in una Bombonera gremita fino all’orlo. Il Boca sfida tra le mura amiche il Talleres, e il giocatore mette per la prima volta piede sul quel prato verde, tanto diverso dalle strade impolverate del barrio. Quella di Carlos Tévez con la maglia degli Xeneizes non è solo un’apparizione sporadica, perchè il talentuoso attaccante diventa il fiore all’occhiello del club. Nel 2003 arriva la vittoria del campionato argentino ma arriverà anche la soddisfazione più grande, ovvero la conquista della Coppa Libertadores. Dopo quasi 100 presenze con il Boca, Carlos saluta l’Argentina per abbracciare la causa del Corinthias, ma il Brasile è solo il trampolino di lancio per l’Europa.
Il Barrio sarà sempre casa sua
Il 31 Agosto del 2006 Tévez saluta il sudamerica e sbarca nella città del calcio, Londra. Carlos non poteva ancora immaginarlo, ma Upton Park sarebbe stato solo il punto di partenza di una carriera incredibile, folle e strepitosa. L’Apache, con le sue cicatrici e la sua storia, avrebbe fatto le fortune dei club più prestigiosi del mondo. Ma le origini e la polvere di Ciudaela non si dimenticano, perché il Barrio sarà sempre casa sua.